Come è morta la mia città - piccola storia triste della "terra ridente"





Okay questa è una piccola storia triste legata alla mia città – di cui non dirò il nome perché tanto chi mi conosce sa di cosa parlo e chi non mi conosce deve prendere questa piccola storia triste come modello per qualsiasi altra piccola città in cui si imbatterà. Ce ne sono tante di storie come la nostra, moltissime.

Ebbene, sappiate che la storia della mia città è iniziata qualche secolo prima della nascita di Cristo. Dei coloni greci approdarono finalmente in una terra con dolci pendii alle spalle, un grosso fiume d'acqua dolce e una lunghissima spiaggia di fine sabbia bianca. Decisero di stabilire lì la loro casa e, poiché il golfo assomigliava ad un sorriso, la chiamarono “terra ridente”. Nei secoli la città crebbe, si costruì un tempio, dei bagni pubblici, delle mura, fino a diventare un importante centro della Magna Grecia nel periodo classico. Per tutta l'antichità la "terra ridente" ha continuato ad espandersi e ha avuto un momento glorioso di cui portano memoria anche gli scrittori latini, ma in età romana si era ormai ridotto ad un piccolo villaggio di contadini.



Villaggio che siamo tornati ad essere nel dopoguerra. Nonostante ci fosse morto Eschilo, sulle nostre spiagge, nessuno si ricordava più di cosa fossimo stati. Ci hanno usati di nuovo come porto i soldati americani, nel 1943, durante il primo sbarco degli alleati, e mia nonna si ricordava di quando lanciarono il cioccolato ai bambini – alimento che in Italia, specialmente nel nostro paese, non si era mai visto.

Eravamo gente umile, noi. Lo sfarzo dell'antichità ci aveva ormai abbandonati e ci occupavamo solo di pecore, mucche e alberi, almeno finché non hanno trovato l'oro nero sottoterra. Da allora, la nostra piccola tana ha vissuto una nuova epoca di ricchezza: Enrico Mattei disse che avevamo un enorme potenziale grazie al nostro petrolio e costruì una gigantesca raffineria, un mostro di metallo che a detta sua avrebbe portato la “terra ridente” al suo antico splendore.

La città con la raffineria alle spalle

E per un periodo è stato davvero così. In città venne costruito un quartiere interamente per i dipendenti, una specie di Bel Air italiana, chiusa agli esterni, e l'impianto di raffinazione attirò davvero molto lavoro, facendo crescere il nostro piccolo villaggio a dismisura, fino a trasformarlo, di nuovo, in una città. Una città cresciuta non sulla sua storia gloriosa e ormai dimenticata, non sui suoi paesaggi e sui suoi tramonti infuocati, ma su residui fossili, su una sostanza tanto pregiata quanto dannosa.

Negli anni '70 la mia città era quasi una metropoli. La stessa famiglia di mio padre si trasferì qui dall'entroterra per cercare lavoro e avevamo edifici meravigliosi, come un ristorante a forma di conchiglia sospeso sul mare che la notta brillava quasi come una luna a largo e inondava di musica le case circostanti. La mia terra era bellissima.




Ma era un sogno destinato a durare poco. Perché? Perché noi eravamo contadini, e ci siamo fatti imbrogliare da ricconi più furbi di noi, che ne sapevano di più e ci hanno detto poco. Perché il nostro petrolio aveva bisogno di processi particolari per essere raffinato e l'impianto è andato presto in perdita. Poi è arrivata la crisi italiana e per noi è stato il colpo di grazia. Ci sono stati periodi di siccità e un altissimo tasso di inquinamento a causa delle emissioni della raffineria, il numero di casi di cancro e malformazioni è aumentato in modo esponenziale e l'acqua del mare, del nostro bellissimo mare, è stata avvelenata dall'oro nero.

Il ristorante a forma di conchiglia chiuse i battenti, la sabbia si allungò fin sotto di essa e ora giace sulla spiaggia, coperta di muschio, come il cadavere di una balena.



Negli anni '90 ci sono stati alcuni casi di mafia anche da noi e gli adulti raccontano che capitava spesso di vedere cadaveri per strada, di sentire gli spari da dietro le finestre. La nostra fama di “terra ridente” si era macchiata dei crimini di chi non dovrebbe essere considerato concittadino, trasformandoci in una “terra nera”.



Ad oggi, di tutta questa storia rimangono solo gli strascichi. La raffineria ha chiuso, licenziando centinaia di persone e lasciando centinaia di famiglie in miseria. Molti di noi – quasi tutti, in realtà, pure gli adulti – devono andare fuori per cercare lavoro e non far morire di fame genitori e figli. Chi rimane qui accusa chi va fuori di menefreghismo – perché vorrebbero che contribuissero alla rinascita del paese – e chi va via si difende col fatto che nella “terra ridente” non c'è più futuro, per nessuno, che cambiare le cose è difficile.

La nostra gente è devastata. Devastata dall'ignoranza che tiene prigionieri molti e si diffonde come un'epidemia, devastata dalla prepotenza di chi ci aveva presentato un sogno e invece aveva in serbo un veleno letale. Il mio paese è distrutto e nessuno sa cosa fare per migliorarlo. Chiudere la raffineria non ha migliorato assolutamente nulla: a volte, quando il vento soffia verso ovest, la puzza di gas ci soffoca, perché il territorio che prima trasformava petrolio in benzina è oggi la casa di altre società che producono roba altrettanto – forse più – dannosa, inquinando il nostro golfo a forma di sorriso, avvelenando i nostri fratelli, figli.



Tutto questo per soldi. Chi può biasimarli, i potenti che non vogliono perdere denaro? La crisi è una cosa seria, già di liquidi ce n'è pochi, sarebbe il colmo perderne ancora. E noi, nel frattempo, moriamo a poco a poco. Le case si svuotano, la strade si riempiono, ma di silenzio, un silenzio denso come gelatina. La mia gente si lamenta in continuazione, ma non delle cose giuste e siamo troppo codardi o incapaci per cambiare davvero qualcosa – mi ci metto dentro anche io. La sensazione generale è che non ci sia più speranza per questo piccolo buco a mezzaluna che chiamiamo “casa”.

Sapete, io non posso fare un granché per la mia città. Non ho abbastanza grinta per fare politica, né la voglia di diventare imprenditrice, e non potrei contribuire in alcun modo alla ricchezza di un luogo che non mi permette di fare ciò che voglio e ciò che posso. Forse sono un'ingrata nei confronti di questa terra, ma siamo realisti: così come sono non posso fare molto.

L'unica cosa che so fare è scrivere e imparare altre lingue. Adesso lo dico a voi e un giorno sogno di dirlo a tutto il mondo: “terra nera”, e tanti altri piccoli paesi come lei, sta soffocando. Si sta spegnendo una stella di estrema bellezza. NON LASCIAMO CHE QUESTO ACCADA. Ciò che io posso fare è portare questa storia oltre i limiti della mia terra e far sentire a più persone possibile il profumo del suo mare, il calore del sole, mostrare al mondo i nostri tramonti variopinti.


Cosicché forse, un giorno, la nostra “terra nera” tornerà ad essere una “terra ridente” e la conchiglia risplenderà ancora contro il buio della notte.

Hikari



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